L’accordo sindacale concluso all’esito della procedura di licenziamento collettivo può ridurre la misura dell’indennità sostitutiva del preavviso stabilita dal CCNL … ma a certe condizioni.
Con ordinanza n. 16917 del 15 giugno 2021 la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione ha confermato la legittimità della previsione dell’accordo sindacale, raggiunto all’esito di una procedura di licenziamento collettivo, che riconosca l’indennità sostitutiva del preavviso in misura inferiore a quella stabilita dalla contrattazione nazionale per i lavoratori licenziati in base ai criteri previsti dall’accordo stesso.
La fattispecie concreta sottoposta all’esame della Suprema Corte risulta piuttosto lineare: un lavoratore licenziato nell’ambito di una procedura di licenziamento collettivo, ricevuta l’indennità sostitutiva del preavviso nella misura prevista dall’accordo sindacale raggiunto all’esito della procedura (tre mensilità), inferiore a quella prevista dal CCNL applicato al rapporto (sei mensilità), agisce per la condanna del datore di lavoro al pagamento della differenza spettante in base al CCNL sul presupposto che con l’accordo sindacale in questione non sia possibile derogare in peius alle previsioni della contrattazione nazionale quanto ai trattamenti economici e normativi, ivi compresa l’indennità sostitutiva del preavviso.
Sia nel primo che nel secondo grado di giudizio la pretesa del lavoratore veniva integralmente accolta, affermando che la previsione concernente l’ammontare dell’indennità di preavviso in deroga a quanto disposto CCNL, non poteva essere ricompresa negli accordi raggiunti nell’ambito della procedura di cui agli artt. 4 e 24 L. 223/1991 trattandosi – come affermato dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 268/1994 – di accordi “gestionali” ossia di accordi, solitamente aziendali, previsti dalla legge come diretti a procedimentalizzare i poteri datoriali e non a regolare i rapporti di lavoro.
Caratteristica degli accordi “gestionali”, lo si ricorda, è la loro efficacia diretta esclusivamente nei confronti dell’imprenditore stipulante, quale limite all’esercizio dei suoi poteri, vincolati dalla legge al rispetto di quanto concordato in sede sindacale, incidendo viceversa solo indirettamente sul singolo prestatore di lavoro attraverso l’atto di esercizio del potere datoriale: l’efficacia di tali accordi nei confronti dei singoli lavoratori, mediata dall’atto di esercizio del potere datoriale, si fonda dunque sulla legge che ad essi rinvia di talchè non si pone per essi il problema dell’efficacia erga omnes che riguarda invece i contratti “normativi”.
In buona sostanza, secondo i giudici delle fasi merito, la stessa struttura degli accordi “gestionali” impedirebbe di attribuire la medesima efficacia a disposizioni di contenuto immediatamente regolativo dei rapporti di lavoro tipiche del contratto collettivo “normativo”, e ciò anche ove inserite nell’ambito degli accordi raggiunti all’esito della procedura di cui agli artt. 4 e 24 L. 223/1991.
Inoltre, l’accordo sindacale oggetto di giudizio per i giudici del merito non poteva neppure essere ricondotto alla categoria degli accordi “di prossimità” di cui all’art. 8 D.L. 138/2011 conv. in L. 148/2011.
Con l’ordinanza in esame la Cassazione è invece giunta ad opposte conclusioni, affermando che la procedura oggetto di giudizio risulta riconducibile nell’ambito della previsione di cui all’art. 8, comma 2 bis, D.L. 138/2011, conv. in L. 148/2011, secondo cui le parti collettive, fermo il rispetto della Costituzione nonchè dei vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro, con le intese di cui al comma 1 – ossia quelle raggiunte per le specifiche finalità tassativamente previste dalla norma, tra cui anche la “gestione delle crisi aziendali e occupazionali”, ipotesi che ad avviso della Corte ben si attaglia al caso considerato – possono operare anche in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le materie di cui al comma 2 e relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro ed anche, come nel caso di specie, alle “conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro”, fatta eccezione soltanto per il licenziamento discriminatorio.
Pertanto, secondo la Corte, la specifica clausola dell’accordo sindacale oggetto di causa, concluso all’esito di una procedura di licenziamento collettivo avviata in ragione di una conclamata situazione di crisi, clausola che riduce la misura dell’indennità sostitutiva del preavviso da riconoscersi ai lavoratori licenziati sulla base dei criteri previsti dall’accordo stesso, risulta non solo pienamente legittima, ma anche dotata di efficacia generale in quanto conferitagli dalla legge stessa.
Più nel dettaglio, la riconducibilità dell’accordo esaminato alle previsioni di cui all’art. 8 L. 138/2011 conv. in L. 148/2011 è stata affermata dalla Corte tenendo conto di quanto segue:
- a) del collegamento funzionale (ricavabile proprio dalle disposizioni dell’accordo conclusivo della procedura di licenziamento collettivo, in base al quale l’erogazione dell’indennità sostitutiva in misura ridotta era prevista proprio con riguardo ai lavoratori licenziati in applicazione dei criteri previsti dall’accordo stesso) fra la previsione concordata di una riduzione, rispetto alla misura stabilita dal CCNL, dell’indennità spettante a titolo di mancato preavviso con la definizione, anch’essa concordata e non unilaterale, dell’esercizio del potere di recesso;
- b) dei principi enunciati nella propria precedente sentenza n. 19660 del 2019 con la quale era stata considerata legittima addirittura la integrale rimozione del diritto a percepire l’indennità sostitutiva del preavviso, sostenendo che, da un lato, la deroga al diritto a percepire tale indennità era stata introdotta allo scopo di ridurre i costi della procedura e, quindi, per far fronte a una ben nota situazione di crisi aziendale e occupazionale e, d’altra parte, l’accordo derogatorio non si poneva in contrasto con la Costituzione né violava vincoli derivanti da normative comunitarie o convenzioni internazionali;
- c) che, con riferimento alla fattispecie concreta oggetto di giudizio, una indennità sostitutiva del preavviso di tre mesi può ben essere reputata in linea con l’art. 4 della Carta Sociale Europea – a mente del quale “le parti si impegnano a riconoscere il diritto di tutti i lavoratori ad un ragionevole periodo di preavviso in caso di cessazione del lavoro” – tenendo conto della peculiarità della situazione di crisi aziendale;
- d) della natura di obbligazione pecuniaria dell’indennità sostitutiva del preavviso, che può costituire oggetto di accordo e rinuncia ed è pertanto suscettibile di essere oggetto di definizione concordata tra le parti sociali chiamate nel contesto di una crisi aziendale a mediare per assicurare la prosecuzione dell’attività di impresa e la conservazione dei livelli occupazionali.
Se fin qui il ragionamento appare chiaro, ad una lettura più attenta e meditata le argomentazioni svolte dalla Corte non mancano di suscitare qualche riflessione ulteriore, di cui si dà conto al fine di evidenziare come, al di là dell’apparente semplicità di alcune soluzioni, la complessità della materia impone di non fermarsi alla superficie e di non dare mai nulla troppo per scontato.
La prima riflessione è infatti questa.
La Corte è giunta a determinate conclusioni (la riconducibilità dell’accordo sindacale in esame all’art. 8 D.L. 138/2011 conv. in L. 148/2011) interpretando le specifiche disposizioni di uno specifico accordo conclusivo di una procedura di licenziamento collettivo, ritenendo di poter ravvisare in relazione alla fattispecie concreta sottoposta al suo esame una delle finalità tipiche indicate dalla norma dell’art. 8, ed in particolare la “gestione delle crisi aziendali e occupazionali” e verificato il “rispetto delle esigenze di rappresentatività previste dalla medesima disposizione”.
Dal che se ne deduce che non vi è alcun automatismo (quindi, attenzione, non ogni accordo sindacale all’esito di una procedura di licenziamento collettivo può essere ritenuto sempre, di per sé, riconducibile alla tipologia degli accordi “di prossimità” dell’art. 8), ma è semmai necessaria di volta in volta una verifica sul singolo specifico accordo in ordine alla sussistenza di tutti i requisiti previsti dall’art. 8.
A ben vedere, nella prospettiva ex ante, ciò si traduce in una precisa indicazione operativa: ove si voglia inserire in un accordo sindacale nell’ambito di una procedura di licenziamento collettivo una clausola derogatoria della misura dell’indennità sostitutiva del preavviso prevista dal CCNL, al fine di garantire la “tenuta” di tale previsione sarà necessario prestare la massima attenzione, oltre che ovviamente alla rappresentatività delle parti stipulanti richiesta dall’art. 8, anche alla costruzione e formulazione dell’accordo stesso, in modo che risulti il più possibile aderente alla richiamata disposizione.
La seconda riflessione, invece, è piuttosto un interrogativo – che in questa sede non ci si può che limitare ad enunciare – sorto direttamente dalla lettura di due dei passaggi argomentativi della decisione esaminata in precedenza richiamati: ebbene, se, come sostiene la Corte,
– in tema di preavviso e relativa indennità sostitutiva bisogna “fare i conti”, tra l’altro, con l’art. 4 della Carta Sociale Europea il quale dispone che “le parti si impegnano a riconoscere il diritto di tutti i lavoratori ad un ragionevole periodo di preavviso in caso di cessazione del lavoro”, e
– in alcune specifiche situazioni concrete (come quella oggetto della decisione esaminata) potrebbe essere ritenuta ragionevole, in relazione al canone di ragionevolezza sancito dalla Carta, anche un’indennità sostitutiva del preavviso inferiore a quella stabilita dal CCNL, siamo allora proprio così sicuri che – nonostante, come accennato, la Cassazione si sia espressa in senso positivo – in relazione alla medesima disposizione della Carta possa essere considerata de plano altrettanto legittima non solo una riduzione ma addirittura l’integrale rimozione del diritto a percepire l’indennità sostitutiva del preavviso?