Secondo la Sezione Lavoro della Cassazione, che ha ribadito il principio affermato dalle Sezioni Unite con Sentenza n. 17589/15, l’art. 24, c. 4, D.L. n. 201/2011 (c.d. Riforma Fornero), laddove prevede che «Il proseguimento dell’attività lavorativa è incentivato (…) dall’operare dei coefficienti di trasformazione calcolati fino all’età di settant’anni, fatti salvi gli adeguamenti alla speranza di vita (…)» non attribuisce al lavoratore un diritto di opzione per la prosecuzione del rapporto di lavoro fino al raggiungimento dell’età massima di settant’anni, né consente allo stesso di scegliere fra la quiescenza o la continuazione del rapporto. Invero, secondo la Suprema Corte, la disposizione in esame esprime semplicemente un favor nei confronti del prolungamento del rapporto fino ai settant’anni, la cui scelta, però, presuppone non soltanto l’interesse del lavoratore ai corrispondenti benefici previdenziali, ma anche l’interesse del datore di lavoro al mantenimento in servizio del dipendente. Deve quindi escludersi sussista un diritto soggettivo del lavoratore a rimanere in servizio fino ai settant’anni d’età, con corrispondente estensione della tutela di cui all’art. 18 L. 300/70: la prosecuzione dell’attività presuppone e richiede, invece, l’accordo fra le parti del rapporto. (Corte di Cassazione, sez. Lavoro, 30.07.2018, sent. n. 20089).
Lavorare fino al raggiungimento della soglia dei 70 anni d'età non è un diritto