Secondo Cass. 4 maggio 2018, n. 10793 l’operatività dell’art. 10 L.F. (in relazione alla cancellazione della società dal Registro delle Imprese ed al limite di un anno per la dichiarazione del fallimento) è limitata alla cancellazione per cessazione dell’attività e non si estende in via analogica anche al caso di cancellazione per trasferimento all’estero della sede sociale – e ciò a prescindere dalla circostanza se si tratti di trasferimento reale o fittizio. Laddove la cancellazione non intervenga a definizione di un procedimento finalizzato alla cessazione dell’esercizio dell’attività di impresa (tipicamente la liquidazione), bensì conseguenza del trasferimento all’estero della sede della società – sull’assunto che questa continui a svolgere la propria attività imprenditoriale nel nuovo Stato – non trova applicazione l’art. 10 L.F. Il trasferimento, almeno nelle ipotesi in cui la legge applicabile nella nuova sede concordi con i principi desumibili dalla legge italiana, non determina il venir meno della continuità giuridica della società trasferita e non ne comporta, quindi, in alcun modo, la cessazione dell’attività (come peraltro desumibile dall’art. 2473, co. 1, c.c.). Inoltre, in applicazione del principio di effettività e laddove risulti poi che l’attività continui ad essere esercitata in Italia, non viene meno nemmeno la giurisdizione del Giudice italiano il quale, laddove ne ricorrano i presupposti, può dichiararne il fallimento. (Corte di Cassazione, 4.05.2018, ord. n. 10793).
Il trasferimento della sede della società all’estero non impedisce la dichiarazione di fallimento in Italia