L’origine del problema e l’ordinanza n. 29810/2017 della Suprema Corte di Cassazione
La L. 287/1990, rubricata “Norme a tutela della concorrenza e del mercato” ha introdotto all’interno dell’ordinamento – in attuazione dell’articolo 41 della Costituzione a tutela e garanzia del diritto di iniziativa economica – norme volte a vietare le intese e le operazioni di concentrazione restrittive della libertà di concorrenza nel mercato nonché gli abusi di posizione dominante da parte degli operatori economici.
La tematica relativa alla nullità delle fideiussioni omnibus è sorta a seguito dell’emanazione, da parte dell’ABI, della Circolare n. 9 del 28 aprile 2003 con la quale è stato elaborato uno schema di contratto di fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie.
La Banca d’Italia – che fino al 12.1.2006 svolgeva anche la funzione di Autorità di garanzia per la concorrenza nel mercato – con provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005, dopo aver verificato la sostanziale uniformità dei contratti utilizzati dalle banche rispetto allo schema predisposto dall’ABI, ha ritenuto tale modello, con particolare riferimento alle clausole di riviviscenza (art. 2), sopravvenienza (art. 6) e di rinuncia al termine di decadenza (art. 8), contrastante con il divieto di intese anticoncorrenziali di cui all’art. 2, comma 2, lett. a) della L.287/1990 invitando l’ABI ad emendare le suddette clausole.
Con Ordinanza del 12.12.2017 n. 29810, la Corte di Cassazione ha rilevato la nullità dei contratti di fideiussione predisposti in conformità allo schema dall’ABI nel 2003 in quanto contrastanti con il divieto di intese anticoncorrenziali posto dalla L. n. 287 del 1990, art. 2.
Successivamente alla pronuncia di tale ordinanza sia la Giurisprudenza di merito che di legittimità si sono espresse sul tema definendo i contorni della questione.
L’onere della prova
In riferimento all’onere della prova, la Suprema Corte, con la sentenza n. 30818/2018, con ragionamento, di fatto, riconfermato nella recente pronuncia n. 13846/2019 sembra ritenere che, ai fini della declaratoria di nullità della fideiussione stipulata in conformità al modello ABI, gravi sul soggetto che invochi tale nullità, l’onere di dimostrare, in via preliminare, il carattere uniforme dell’applicazione della clausola contestata. In capo al soggetto invocante la nullità della clausola grava, inoltre, come posto in luce dalla Giurisprudenza di merito, l’onere di allegare, a supporto della sua eccezione, sia la copia del contratto di fideiussione impugnato che il provvedimento che ha dichiarato nulla l’intesa anticoncorrenziale, ossia la copia del provvedimento della Banca d’Italia reso nel 2005 attesa la natura cd. “amministrativa” del provvedimento e, quindi, di un atto che non è autonomamente conoscibile dal Giudice per scienza privata. L’onere della banca, invece, consiste nel dimostrare che il contratto di fideiussione non abbia i requisiti censurati.
Nullità totale o nullità parziale?
In tema dei possibili effetti della violazione della normativa antitrust dei contratti di fideiussione che dovessero risultare conformi al modello ABI oggetto di censura, le prime pronunce giurisprudenziali sembravano voler accogliere la tesi della nullità integrale del contratto.
Tale orientamento sembra ora essere stato superato dalle più recenti sentenze della Giurisprudenza di merito la quale predilige, in accoglimento del principio generale della cd. conservazione del negozio, il rimedio della nullità parziale, ovvero di una nullità riguardante le sole clausole oggetto dell’accordo illecito, aspetto questo non irrilevante in molti casi concreti, atteso che – nei concreti rapporti tra creditore e garante – le tre clausole oggetto di contestazione non avevano avuto alcuna concreta applicazione e, quindi, la loro nullità con conseguente eliminazione dal testo, diviene del tutto irrilevante ai fini del permanere della garanzia e dell’obbligo di pagamento a carico del garante.
Interessante è, inoltre, una nuova ed innovativa prospettazione della problematica per cui la questione della violazione della normativa antitrust alle fideiussioni, sarebbe un “falso” problema, atteso che il garante non potrebbe geneticamente essere leso nella propria libera scelta del possibile contraente (ovvero il creditore garantito), scelta di fatto “obbligata” ed univoca in considerazione che il creditore viene individuato dalla scelta del debitore di contrarre l’obbligazione, appunto, con quello specifico Istituto di credito. In tal senso, seppur implicitamente, di recente il Tribunale di Roma che ha sottolineato, tra l’altro, l’assenza, appunto, della lesione della inesistente libertà contrattuale in capo al fideiussore ovvero l’assenza della lesione della libertà di scelta che rappresenta proprio la ratio della normativa anti trust.