Con una recente decisione (sentenza del 02 aprile 2020 nel procedimento C-567/2018 Coty v. Amazon), la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha affrontato il caso del soggetto che riceve in deposito ed immagazzina prodotti lesivi dei diritti di un marchio altrui su incarico e per conto di un terzo, senza avere però conoscenza della violazione, pervenendo ad escludere che tale condotta possa essere equiparata a quella dello stoccaggio di tali prodotti ai fini dell’offerta o dell’immissione in commercio – rilevante ai fini della violazione del marchio altri – qualora appunto solo il terzo, e non anche il depositario, sia a conoscenza dei diritti altrui e intenda immettere in commercio i prodotti.
Il caso sottoposto ad esame riguardava appunto il soggetto che immagazzina prodotti lesivi dei diritti di un marchio per conto di un terzo, senza avere conoscenza della violazione: la Corte ha ritenuto che “una persona che conservi per conto di un terzo prodotti che violano un diritto di marchio, senza essere a conoscenza di tale violazione, si deve ritenere che non stocchi tali prodotti ai fini della loro offerta o della loro immissione in commercio… qualora non persegua essa stessa dette finalità”, escludendo dunque la responsabilità di tale soggetto ai sensi dell’art. 9 Reg. 207/2009 e art. 9 Reg. 2017/1001.
La decisione ha quindi attribuito prevalente rilievo alla (non) sussistenza dell’elemento soggettivo giungendo ad escludere che la piattaforma e-commerce (Amazon nel caso di specie) potesse ritenersi responsabile della violazione dei diritti esclusivi di marchio altrui da parte di prodotti esposti in quanto considerata mera depositaria che opera il magazzinaggio assumendo un ruolo neutro tra il venditore e il cliente finale, senza effettiva conoscenza dell’illecita usurpazione dei diritti di marchio altrui.
In materia in un caso analogo invece l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) era giunta a conclusione diversa escludendo proprio il ruolo di mera “neutralità” di Amazon in quanto il gestore della piattaforma di e-commerce non si limiterebbe a mediare tra venditore e cliente finale ma svolgerebbe un ruolo attivo, ottimizzando e rendendo maggiormente efficaci le offerte di vendita, secondo un principio già riconosciuto dalla Corte di Giustizia in altra sua sentenza (L’Oreal v. eBay – C-324/09).