“L’occasione fa l’uomo ladro”, recita un noto proverbio, ma anche licenziabile.
Per giusta causa e senza riconoscimento del preavviso, peraltro.
Si tratta di un principio consolidato nel nostro diritto del lavoro, che una recente sentenza della Corte di Cassazione (file:cass_11005_2020.pdf text:n. 11005 del 9 giugno 2020) ha, però, contribuito a specificare con riguardo ad un caso in cui la gravità dell’inadempimento è risultata particolarmente attenuata: non solo per il “modico valore” dei beni oggetto della sottrazione (due pennelli), ma anche per il fatto che tale sottrazione sia stata solamente “tentata”, poiché il dipendente è stato scoperto al termine del turno.
Ora, questa pronuncia appare particolarmente interessante sia perché conferma che anche una (tentata) sottrazione di beni di modico valore integra una giusta causa di licenziamento, sia perché fornisce un utile chiarimento in tema di onere della prova gravante sul datore, che, come noto, non è sempre agevole in circostanze simili.
Questi i fatti.
All’esito di un controllo a campione svolto dal personale di una società esterna, venivano ritrovati nella borsa del dipendente, al termine del suo turno, due pennelli. Attesa la somiglianza a quelli in uso in azienda e presenti nel magazzino della stessa, il datore riteneva tali pennelli di provenienza aziendale, e provvedeva, pertanto, alla contestazione disciplinare. Il datore, dunque, non agiva sulla base di una prova diretta dell’appropriazione, ma di una mera presunzione.
Ciononostante, tanto in sede di difese, quanto nel corso del giudizio di merito, il lavoratore non riusciva a vincere tale presunzione dimostrando o la proprietà dei pennelli (ad esempio mediante produzione dello scontrino di acquisto), o una qualsiasi altra logica alternativa all’ipotesi dell’illecita sottrazione da parte sua dei pennelli a danno dell’azienda ed al fine di trarne un ingiusto profitto.
Nel rigettare il ricorso e confermare la legittimità del licenziamento, la Cassazione precisa che nel caso di specie non si è verificata una inversione dell’onere della prova (che – vale ricordarlo – grava sempre sul datore di lavoro) ma è la logica conseguenza della mancata offerta da parte del ricorrente di una giustificazione plausibile del fatto accertato, dato dal ritrovamento nel proprio zaino di oggetti dal medesimo dichiarati non di sua proprietà, evenienza che ha quale unica alternativa che quegli oggetti si trovassero nello zaino del ricorrente in quanto fosse stato proprio lui ad inserirveli.
Conferma, poi, che una simile condotta è pienamente riconducibile all’ipotesi del furto in azienda che lo stesso contratto collettivo include tra le fattispecie passibili della massima sanzione. Pertanto è corretta la decisione della Corte territoriale che ha ritenuto la stessa idonea a ledere il vincolo fiduciario, inteso come possibilità di affidamento del datore nell’esatto adempimento delle prestazioni future.
In tal senso, infatti, “alcuna rilevanza può essere attribuita all’esiguo valore dei beni sottratti”.
Chi tradisce una volta, quindi, potrebbe tradire di nuovo in futuro?
Pare proprio che la Cassazione la pensi così.