Con la succitata pronuncia, la Suprema Corte ha affermato che: “È consolidato il principio che i dati sensibili idonei a rivelare lo stato di salute possono essere trattati dai soggetti pubblici soltanto mediante modalità organizzative che rendano non identificabile l’interessato”.
Nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso proposto dal Garante della protezione dei dati personali (c.d. “Garante privacy”) contro la sentenza del Tribunale di Foggia, del 19.11.2013, che aveva accolto l’opposizione della provincia di Foggia all’ordinanza n. 44 del Garante, il quale aveva ingiunto la sanzione di € 20.000,00 per aver diffuso dati inerenti lo stato di salute di una dipendente in difformità delle prescrizioni previste dal codice di protezione dei dati personali (c.d. “Codice privacy”).
La provincia aveva giustificato il predetto trattamento sulla base di una generica “esigenza di trasparenza amministrativa” e il giudice di primo grado aveva ritenuto che la sola diffusione dei dati summenzionati non fosse lesiva della riservatezza della dipendente. (Cassazione civile – Sez. seconda, 4 aprile 2019 n. 9382).