Colletti bianchi addio. Possiamo sintetizzare così, provocatoriamente, uno degli effetti meno evidenti dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 104/2022. Infatti, in nome della trasparenza e della prevedibilità è stato fatto un importante passo avanti verso l’uso di tecnologie intelligenti in azienda, prevedendo l’obbligo di informare adeguatamente i lavoratori quando l’imprenditore decida di sostituire il responsabile delle risorse umane con un software capace di assumere in totale autonomia qualsiasi decisione riguardante il personale.
La normativa, per la verità, non autorizza nulla, tratta solo di obblighi informativi e delle relative sanzioni, ma se una disposizione di legge prevede l’obbligo di informare che la gestione del personale è affidata in toto ad una macchina, ciò significa, o almeno dovrebbe significare, che a monte si è data per acquisita e scontata la possibilità di disumanizzare un ruolo delicato ed altamente professionalizzato come quello della gestione delle risorse umane.
Nulla da dire sulla norma: è certamente corretto che al momento dell’assunzione ogni lavoratore possa prevedere ciò che sarà.
Il problema vero sta infatti su di un altro piano e diverrà sempre più evidente man mano che verranno coinvolte anche le PMI. Una diffusione capillare di sistemi decisionali del genere rende, infatti, tocca la società civile nel suo insieme. Ponendo una serie di quesiti.
Il primo è come il tessuto sociale risponderà alle logiche produttive (soprattutto di valutazione) che le macchine imporranno, ad esempio, in nome della parità di trattamento: differentemente da quel che alcuni sostengono, non siamo tutti uguali, ma se sul luogo di lavoro si è giudicati da una intelligenza artificiale che tende a proporre soluzioni omologanti e conformiste, è prevedibile che i lavoratori adotteranno tale standard come proprio criterio di valutazione dell’intera realtà nel suo complesso, come già succede nel mondo dei social grazie ad esempio, a meccanismi come quelli legati ai likes.
Un esempio concreto: una volta divenuti operativi i sistemi “intelligenti” non potranno – anche grazie ai limiti previsti GDPR (regolamento privacy) – prendere in considerazione informazioni troppo specifiche sui singoli lavoratori. La macchina dovrà certamente tener conto del diritto di un lavoratore ad usufruire di permessi ex Legge 104 per assistere (veramente) un familiare in difficoltà, ma in nessun caso potrà prendere in considerazione la condizione (anche psicologica) personale del lavoratore.
Le spie d’allarme di un possibile disastro sociale sono disseminate tra le pieghe di atti di indirizzo, raccomandazioni, circolari, regolamenti, direttive europee e norme nazionali. Se ne parla nella “relazione sull’intelligenza artificiale in un’era digitale” al Parlamento Europeo del 3 maggio 2022; lo confermano progetti operativi come il programma Europa digitale 2021-2027 (Regolamento UE 2021/694). D’altro canto, i sistemi decisionali artificiali sono, e saranno ancor di più in futuro, in grado di ricoprire ruoli aziendali propri dei colletti bianchi.
Al Parlamento europeo peraltro è stato segnalato un ulteriore tema di riflessione, cioè il potenziale aumento della disparità di reddito connesso all’uso delle tecnologie intelligenti per ruoli intermedi.
Sia ben chiaro, l’approccio verso queste tecnologie non deve essere oscurantista o conservatore. Servono oggi persone – e perché no, anche noi giuristi – capaci di comprendere appieno il problema sotto il profilo informatico.
D’altro canto l’esigenza di fare immediata chiarezza non è un problema solo dei lavoratori e di chi li rappresenta, ma anche per i nostri imprenditori a cui vanno offerti subito tutti gli strumenti utili per affrontare un mercato, quello internazionale, sempre più competitivo, ma è impensabile che, come è accaduto già in molti altri ambiti, si rimandi la soluzione di problemi etici e morali e sociali ex post al Giudice del Lavoro, chiamato magari a stabilire se, a conti fatti, l’organizzazione imposta dalla macchina sia pienamente rispettosa dei diritti fondamentali dei lavoratori. Un eventuale arrestro giudiziario renderebbe la situazione ancor più complessa, anche dati gli altissimi costi che le imprese si trovano ad affrontare già oggi in nome della corsa all’innovazione.