Con la diffusione del fenomeno dei marketplaces online, come Amazon o eBay, sono divenute di grande attualità le riflessioni in merito alla possibilità di commissione di illeciti da parte di terzi venditori che utilizzano e pubblicizzano i loro prodotti nella piattaforma.
Il caso tipico riguarda la messa in vendita sul marketplace di un prodotto contraffatto del marchio su cui un terzo possa rivendicare diritti esclusivi, oppure la distribuzione on line di contenuti illeciti.
A partire dalla Direttiva europea sul cosiddetto “Commercio elettronico”, recepita in Italia nel 2003, i gestori dei marketplace online sono stati qualificati a livello europeo come “hosting provider”, semplici intermediari tecnologici, esentati in linea generale dagli obblighi e responsabilità che gravano più propriamente sul venditore che utilizza lo spazio digitale. Per loro, infatti, la responsabilità diretta esiste unicamente se rivestono un ruolo attivo nell’attività di promozione e vendita dei contenuti o prodotti ospitati nella piattaforma.
Negli ultimi tempi, tanto negli Stati Uniti quanto in Europa, si assiste sempre più frequentemente a pronunce che valorizzano tale ruolo “attivo” dell’hosting provider.
Nella prima vicenda giudiziaria significativa in quest’ambito – “L’Oreal vs eBay” – la Corte di Giustizia ha ritenuto che il servizio di assistenza nelle vendite svolto dalla piattaforma on line dovesse comportare l’esclusione del regime delle esenzioni previste dalla Direttiva sul commercio elettronico; anche in Italia di recente un noto sito di e-commerce è stato ritenuto “hosting provider attivo”, occupandosi anche dell’aspetto distributivo e logistico (come stoccaggio e spedizioni) delle merci, tra le quali erano presenti quelle contraffatte di venditori terzi. In questi casi, infatti, il marketplace non svolgerebbe più esclusivamente un ruolo di intermediazione passivo.
Appare chiaro del resto che considerare questi colossi del web come meri “intermediari digitali” (così detto provider neutrale), esonerandoli dalle responsabilità che incontra invece il venditore del tradizionale negozio “fisico”, rischia di aggravare e legittimare gli squilibri competitivi tra i diversi operatori e penalizzare la tutela dei consumatori che se ne avvalgono.
È stata avvertita pertanto l’esigenza di aggiornare la disciplina vigente e istituire un regime di responsabilità più severo e coerente, per far fronte al mutato scenario globale in cui operano i così detti provider ibridi, che pubblicizzano e vendono sia prodotti propri sia di altri venditori. In questa direzione vanno tanto il regolamento europeo sui Servizi digitali (il Digital Service Act) quanto quello sui Mercati digitali (Digital Market Act) che troveranno applicazione nei prossimi mesi.
Anche nella recente controversia tra il produttore di calzature di lusso Louboutin ed Amazon, la Corte di Giustizia ha confermato chiaramente tali esigenze, ipotizzando la responsabilità diretta del gestore per l’uso non autorizzato del marchio di posizione (la famosa suola rossa su scarpa con tacco alto) da parte della piattaforma on line qualificata come portale “ibrido”.
Avv. Alessio Vianello e Lorenzo Boscolo
Partners MDA Studio Legale
Venezia- Padova – Treviso