Oggetto della pronuncia è la vicenda di un lavoratore che, dopo essere stato reintegrato dal datore di lavoro in ottemperanza all’ordine del Giudice, all’esito di un primo giudizio di impugnazione del licenziamento, è stato trasferito presso un’unità produttiva già strutturalmente in perdita e quindi, successivamente, nuovamente licenziato, unitamente ad altri colleghi, nell’ambito di una procedura di riduzione del personale.
Secondo la Suprema Corte, la condotta datoriale, ancorchè articolata in una serie di atti apparentemente leciti, era diretta a perseguire uno scopo illecito, ovvero all’elusione dell’ordine di reintegra ed alle norme sui licenziamenti collettivi, ed era quindi, come tale, da ritenersi in frode alla legge ai sensi dell’art. 1344 c.c. – applicabile anche agli atti unilateriali –, con conseguente declaratoria di nullità del licenziamento ed applicazione della tutela reintegratoria “piena”.
Inoltre, secondo la Corte, la configurabilità di una fattispecie di frode alla legge escludeva la rilevanza della mancata tempestiva impugnazione, da parte del lavoratore, del trasferimento disposto dal datore di lavoro presso la sede in esubero, considerato il ruolo strumentale assunto dal provvedimento di trasferimento rispetto alla complessiva condotta illecita datoriale, di cui il licenziamento, tempestivamente impugnato, rappresentava l’atto finale (Cass., Sez. Lav., 17 dicembre 2020, n. 29007).