La Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulla applicabilità del D.Lgs. n. 231/2001 nei confronti di due Società di diritto olandese e con sede legale nei Paesi Bassi, i cui referenti erano imputati di corruzione in atti giudiziari (art. 319-ter C.P.). Il delitto si era consumato in Italia, sicché nei giudizi di merito non erano insorti dubbi sulla giurisdizione del Giudice italiano nei confronti delle persone fisiche, mentre si era dibattuto molto sulla competenza dello stesso Giudice nazionale ad applicare il Decreto 231 nei confronti delle Società olandesi, entrambe sprovviste di Modello Organizzativo, la cui condanna nei primi gradi di giudizio è stata impugnata avanti la Cassazione.
La Corte, nel definire il perimetro di applicazione del D.Lgs. n. 231/2001 in riferimento agli Enti perseguibili dalla Giustizia italiana, ha statuito che non ha rilevanza la sede legale della Società, né l’ordinamento giuridico di sua appartenenza o di suo riferimento, posto che, ai sensi degli artt. 3 e 6, comma 1, C.P. “la legge italiana obbliga tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovano nel territorio dello Stato” e “…chiunque commette un reato nel territorio dello Stato è punito secondo la legge italiana” e non v’è ragione per ritenere che tali principi, pacifici per le persone fisiche, non si applichino anche alle persone giuridiche.
Ne consegue che l’unico criterio per valutare la sussistenza della giurisdizione nazionale in materia di 231 è quello del *locus commissi delicti*. In altri termini, se il reato presupposto sia stato commesso in Italia, la Società – ancorché di diritto estero e con sede all’estero – sarà tratta a giudizio avanti il Giudice italiano territorialmente competente per il luogo nel quale l’illecito è avvenuto.
Del tutto irrilevanti sono:
- la sede legale dell’Ente ubicata all’estero;
- il luogo in cui si sarebbe programmata l’attività illecita;
- la circostanza che l’ordinamento di appartenenza o di riferimento non preveda un “sistema 231” analogo a quello italiano, che potrebbe far ritenere inesigibile da parte dell’Ente una condotta organizzativa virtuosa che valga come esimente.
Invero, secondo la sentenza in esame, le persone giuridiche che operano anche nel territorio italiano, qualunque sia lo Stato di loro appartenenza, devono osservare la legge penale vigente in Italia e, pertanto, rispondere della responsabilità amministrativa connessa ai reati presupposto commessi nel nostro Paese dai loro apicali o sottoposti all’altrui direzione o vigilanza, a meno che non si siano preventivamente dotate di adeguato Modello Organizzativo (che, a sua volta, sia stato fraudolentemente eluso) e di un Organismo di Vigilanza effettivamente operativo.
La Suprema Corte ha recepito l’analogo principio di diritto già affermato dal Tribunale di Lucca “… là dove ha ritenuto applicabile la disciplina del decreto n. 231 ad una società straniera priva di sede in Italia, ma operante sul territorio nazionale, in relazione ai delitti di omicidio e lesioni personali colpose (nel noto caso dell’incidente ferroviario di Viareggio)”.
Le Società di diritto estero e con sede legale al di fuori del territorio nazionale, ma che svolgano in concreto attività anche in Italia, dovranno tenere conto di questo orientamento, sì da valutare preventivamente pure i rischi correlati all’applicazione nei loro confronti della disciplina italiana sulla responsabilità amministrativa degli Enti (misure cautelari, misure interdittive, sanzioni pecuniarie), adeguando di conseguenza i loro assetti organizzativi, riconducendoli ad un formale Modello Organizzativo e dando prova della sua idoneità e della sua concreta attuazione (Corte di Cassazione, Sezione VI penale, ud. 11 febbraio 2020 – dep. 6 aprile 2020, n. 11626).