In una controversia che ha coinvolto una nota casa editrice ed avente ad oggetto l’utilizzo da parte di un terzo di domain name identico a marchio registrato la Suprema Corte ha ritenuto ed osservato che la prolungata tolleranza dell’uso del segno confondibile – in astratto rilevante ai fini di escludere la facoltà del primo titolare di chiedere la dichiarazione di nullità del marchio posteriore (o di altro segno identico) ex art. 28 C.P.I. – non può esplicare alcun effetto di convalidazione del marchio posteriore qualora questo risulti successivamente registrato in malafede.
La Corte di Cassazione, con ordinanza del 21.02.2020 n. 4721, ha peraltro precisato, enunciando il relativo principio di diritto, che ai fini della valutazione della malafede rimane irrilevante l’inerzia ultraquiquennale, anche se accompagnata da comportamenti successivi inequivoci di “tolleranza” perché il comportamento in mala fede rilevante è solo ed esclusivamente quello contestuale all’atto di registrazione che dunque esplica i suoi effetti ed impedisce la convalidazione anche se accertato successivamente dal soggetto che ha con la propria condotta “tollerato” per anni il segno distintivo confondibile.
L’utilizzo poi del marchio come domain name o “meta-tag” è pacificamente indice di malafede: l’utilizzo del segno come “meta-tag” disvela l’intento illecito di agganciare il pubblico del marchio famoso e allo stesso modo, “la registrazione di un domain name che riproduca o contenga il marchio altrui, costituisce una contraffazione del marchio poiché permette di ricollegare l’attività a quella del titolare del marchio, sfruttando la notorietà del segno e traendone, quindi, un indebito vantaggio”.