Abbiamo di fronte una stagione che vedrà impegnate le imprese in un’opera di ampia riorganizzazione, che significa, tra l’altro, saper gestire gli esuberi determinati dalla crisi in atto.
Sarà necessario porre mano alla “cassetta degli attrezzi” per utilizzare tutti gli strumenti a disposizione: dagli ammortizzatori sociali, al distacco, dai licenziamenti per ragioni oggettive o collettivi, alle riallocazioni interne delle risorse ed altri ancora da approntare di volta in volta.
Per questa ragione la recentissima (file:cass.demansionamento.pdf text:Cass. 22.10.2020 n. 23144) appare di grande interesse.
In essa si affronta, ancora una volta, il tema del demansionamento.
Nella fattispecie un demansionamento subito da un lavoratore destinato al distacco, presso società controllata, distacco ritenuto legittimo in sede di merito.
Tale legittimità del distacco, tuttavia, non modifica i termini della questione, per quanto riguarda il preteso utilizzo in mansioni inferiori rispetto a quelle di appartenenza (impiegato 8° livello).
Nel caso di specie, la parte più interessante della sentenza all’esame riguarda la decisione di confermare la Corte di Appello di Torino, che, in riforma della sentenza del Tribunale e in applicazione del criterio dell’esame del motivo più liquido, aveva escluso la possibilità di accogliere le richieste risarcitorie del lavoratore, in essenza di una indicazione specifica del danno che si pretende di aver subito.
È noto che la S.C. e i giudici di merito, in questa materia, facciano ricorso, molto spesso, alle presunzioni, per dimostrare che il lavoratore demansionato abbia subito un danno.
L’utilizzo di tali presunzioni consente al lavoratore di evitare l’onere di provare in modo analitico il danno effettivamente subito, anche perché spesso il danno effettivo non emerge in alcun contesto.
Se dovesse trovare conferma l’indirizzo ora, con forza, ribadito dalla Cassazione, con la sentenza in commento, l’inadempimento datoriale non sarebbe sufficiente a portare alla condanna del datore ad un risarcimento del danno, se non accompagnato dalle allegazioni circa un “concreto e non astratto” danno derivante da: durata del demansionamento; conoscibilità all’interno e all’esterno dell’ambiente lavorativo, frustrazione di aspettativa nella progressione di carriera, riflessi sulle abitudini di vita del lavoratore.
Il giudizio sulla presenza o meno in causa di questi elementi, minimi, per poter riconoscere un eventuale risarcimento del danno, è rimesso alla Corte di Appello e non è sindacabile in Cassazione.
Qualora questi elementi minimi siano presenti, si potrà procedere con l’esame dell’attività svolta dal lavoratore, per verificare se vi sia stato un inadempimento da parte del datore di lavoro che lo ha impiegato in mansioni deteriori a quelle proprie. Accertato il demansionamento il Giudice procederà a valutare e quantificare il danno.
In assenza di questi elementi minimi – come nel caso all’esame- sarà inutile l’accertamento dell’illiceità della condotta datoriale, perché non potrà mai pervenirsi all’accertamento di un danno.
La strada per il rispetto delle regole è tracciata.
Al più presto occorrerà iniziare a percorrerla.
Al Demansionamento non sempre consegue un risarcimento