Dopo la nota pronuncia n. 194/2018, con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale del criterio di calcolo dell’indennizzo previsto dall’art. 3, d.lgs. n. 23/2015 (c.d. Jobs Act), la Corte costituzionale torna ad esprimersi sullo stesso decreto, con un giudizio ancora una volta di segno negativo.
Sotto la scure della Corte, questa volta, l’art. 4 del d.lgs. n. 23/2015, che prevedeva per i licenziamenti viziati nella motivazione o nella procedura un criterio di calcolo dell’indennizzo analogo a quello già dichiarato incostituzionale nel 2018.
Come anticipato dalla Corte costituzionale nel comunicato stampa del 25 giugno, «è stato dichiarato incostituzionale l’inciso “di importo pari a una mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio”, in quanto fissa un criterio rigido e automatico, legato al solo elemento dell’anzianità di servizio».
Riepilogando, in entrambe le disposizioni sottoposte alla Corte costituzionale era previsto che l’indennizzo spettante al lavoratore nelle ipotesi di applicazione della tutela indennitaria fosse calcolato esclusivamente sulla base dell’anzianità di servizio, effettuando un’operazione aritmetica in cui il numero di anni di anzianità di servizio veniva moltiplicato per il coefficiente individuato nella norma (pari ad uno nell’ipotesi in questione, due nel caso di licenziamento ingiustificato), fermi restando i limiti – minimo e massimo – anch’essi individuati dal legislatore (nella fattispecie da due a dodici mensilità).
Il sistema di calcolo dell’indennizzo descritto rappresentava il perno del Jobs act, avendo il vantaggio di porre il datore di lavoro nella condizione di conoscere anticipatamente il costo dell’eventuale illegittimità del licenziamento nell’ipotesi di esito negativo del giudizio (sostanzialmente il firing cost).
Proprio l’automatismo alla base del calcolo, nonché l’impossibilità per il giudice di discostarsi dall’importo così ottenuto e, conseguentemente, personalizzare l’importo dell’indennizzo parametrandolo al pregiudizio effettivamente subito dal lavoratore per effetto del licenziamento, unitamente all’esiguità degli importi derivanti dall’utilizzo di tale sistema quando destinatari del licenziamento illegittimo fossero lavoratori con una bassa anzianità di servizio aveva condotto alla dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 3 del d.lgs. n. 23/2015.
Da quanto riportato nel (file:cc_cs_20200624185434.pdf text:comunicato stampa) della Corte costituzionale, in attesa di conoscere la motivazione della pronuncia, sembra che le ragioni che hanno condotto a questa ulteriore dichiarazione di incostituzionalità siano le medesime.
La motivazione dovrà inoltre chiarire quali criteri dovranno essere utilizzati dal giudice nel determinare l’indennizzo, stante il vuoto lasciato dalla pronuncia di incostituzionalità: il solo criterio della gravità del vizio che ha colpito il licenziamento, come previsto nell’ipotesi parallela disciplinata dall’art. 18 St. Lav. ovvero i consueti criteri del numero di dipendenti, delle dimensioni aziendali, del comportamento e delle condizioni delle parti.
Jobs Act: la Corte Costituzionale smantella ogni automatismo