Il coerente macro-principio che attraversa le pronunce dei Giudici amministrativi e civili in materia di società in house è rappresentato dalla sanzione di irrilevanza – di per sé – della partecipazione societaria di matrice pubblica per farne discendere un mutamento di natura rispetto alle (ordinarie) società di diritto privato. Sul punto, anche negli ultimi mesi la Cassazione si dimostra attenta e pronta a reagire ad eventuali deragliamenti rispetto a questo binario, e lo ha dimostrato: I. cassando con rinvio una sentenza della Corte d’Appello de L’Aquila, sancendo che le società in house sono fallibili, escludendosi l’applicazione dell’art. 1, L. Fall., ai soli Enti e non alle società pubbliche, alle quali si applicano le norme di Codice civile, fallimento, concordato preventivo ed amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi (Cass. civ., sez. I, 22.02.2019, n. 5346); II. cassando per difetto di giurisdizione una sentenza della Corte dei conti, sez. giurisdizionale d’appello di Roma, statuendo la giurisdizione del giudice ordinario per le azioni di responsabilità nei confronti degli organi sociali e di controllo, essendo la giurisdizione contabile rimessa a fattispecie del tutto residuali, riconducibili a prospettazioni di “danno arrecato dal rappresentante della società partecipata al socio pubblico in via diretta (non, cioè, quale mero riflesso della perdita di valore della partecipazione sociale)” (Cass. civ., ss.uu., 5.02.2019, n. 3330).
Appalti. La dimensione privatistica delle società in house: fallibilità ed azioni di responsabilità.