Con sentenza n. 18672 dello scorso 11 luglio, le Sezioni Unite della Cassazione sono intervenute in tema di compravendita, contribuendo a chiarire gli oneri gravanti sul compratore di un bene viziato, al fine di esperire le azioni di risoluzione contrattuale o di riduzione del prezzo, previste dall’art. 1492 c.c..
Come noto, il codice pone stringenti limiti temporali per l’esercizio di tali rimedi: il diritto di esperire tali azioni si prescrive, infatti, entro un anno dalla consegna del bene; inoltre, è prevista la decadenza dal diritto di promuoverle se i vizi del bene non vengono denunciati al venditore entro otto giorni dalla scoperta.
Chiamate a specificare quali atti siano idonei ad interrompere il breve termine di prescrizione delle azioni sopra ricordate, le Sezioni Unite hanno chiarito come non sia necessaria la notifica di un atto giudiziale da parte del compratore, ma che anche il semplice atto di costituzione in mora, con cui venga comunicata la volontà del compratore di valersi della garanzia, costituisce atto sufficiente ad interrompere il decorso del termine di prescrizione, con conseguente avvio di un nuovo periodo prescrizionale (Cass., SS.UU., 11.07.2019, n. 18672).
Peraltro, lo stesso atto di messa in mora potrebbe persino risultare non necessario, qualora i vizi del bene siano stati espressamente riconosciuti dal venditore: infatti, già con la sentenza n. 13294 del 2005, le Sezioni Unite hanno affermato che l’impegno del venditore di eliminare i vizi della cosa venduta costituisce riconoscimento di debito con effetto interruttivo della prescrizione, che consente al compratore di esperire le azioni sopracitate senza essere vincolato ai termini di prescrizione e decadenza stabiliti dall’art. 1495 c.c. (Cass., SS.UU., 21.06.2005, n. 13294).
Va infine aggiunto che la sentenza dello scorso luglio fa seguito ad un’altra rilevante pronuncia recentemente emessa dalla Cassazione a Sezioni Unite, sempre in tema di garanzia per vizi della cosa venduta.
Con la sentenza del 3 maggio n. 11748/2019 le Sezioni Unite sono infatti intervenute a risolvere un contrasto relativo al profilo dell’onere probatorio circa la sussistenza dei vizi del bene compravenduto, precisando come incomba sul compratore che esercita le azioni di risoluzione del contratto o di riduzione del prezzo l’onere di provare l’esistenza dei vizi (e non sul venditore – come sostenuto dalla tesi opposta – l’onere di provare la loro insussistenza) (Cass., SS.UU., 3.05.2019, n. 11748).